martedì 12 luglio 2011

Un ponte d'amicizia 2

In fondo sapevamo noi e loro che sarebbero state solo tre settimane: niente più che una vacanza in un'Europa tanto vicina quanto lontana! Sapevamo che le nostre case erano solo un rifugio per la notte e la nostra tavola aveva un posto in più funzionale alla vita di tutti i giorni in oratorio. Sapevo bene, dalla mia prospettiva, che avremmo dovuto solo fare spazio, creare occasioni, mettere a contatto la nostra e la loro esperienza, la nostra e la loro vita.
Ma se fosse tutto così semplice ora non riuscirei a spiegarmi le mie e le loro lacrime sabato mattina e ora questo senso di vuoto, quasi di un lutto da elaborare e, prima ancora, da centellinare con una valanga di spiegazioni come quelle scritte prima.
Quello che è accaduto è molto più di un episodio, di un'ospitalità: ha i contorni di un accadimento che puoi scoprire solo a posteriori, di cui afferri la portata solo poco a poco.
I nostri 20 ragazzi di Sarajevo ci hanno insegnato la bellezza dell'amore che, sprecato, ritrovi in larga misura. Ci hanno raccontato che nessuno può crescere se non trova accanto un uomo e una donna pronti a farsi carico di lui; ci hanno ricordato l'importanza dell'affetto dimostrato con il sorriso e con le tenerezze di un abbraccio che non è smanceria ma la base solida su cui crescere bene. Loro ci hanno restituito un cuore decisamente più vulnerabile ma che, proprio per questo, si riscopre vivo e con il suo fine ben stretto in pugno: quello di amare e di lasciarsi amare.
Non credo che ai nostri amici abbiamo venduto illusioni ma abbiamo raccontato la Speranza che forse, ad alcuni, è troppo spesso negata e non per cattiveria ma per le contingenze in cui si ritrova a vivere; la Speranza che una vita diversa è possibile e che anche loro possono, consapevoli di essere unici e preziosi, farcela a riscattarsi e ad emanciparsi.
Hvala puno, sarajevska dieca! Grazie mille e vidimo se, arrivederci a presto!